È fondamentale non sottovalutare la complessità della cura della disfagia e non trascularne i disturbi. La disfagia ha un impatto considerevole sulla prognosi di malattia e sulla qualità di vita di persone affette da malattie cerebrovascolari come l’ictus, sindromi extrapiramidali quali la malattia di Parkinson, patologie neuromuscolari quali la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) o la distrofia muscolare, malattie neuroinfiammatorie quali la sclerosi multipla, o, ancora, malattie midollari di diversa natura.
La conoscenza aggiornata degli aspetti diagnostici e terapeutici della disfagia è alla base della corretta gestione dei pazienti ed è essenziale per l’ottimizzazione dei costi della spesa sanitaria.
La cura della disfagia: quali esami?
Le disfagie neurogene in alta percentuale sono diagnosticabili mediante una accurata anamnesi familiare e personale nonché basandosi sui reperti dell’esame obiettivo speciale neurologico. In caso di dubbio è consigliabile procedere a ipotesi diagnostico differenziali. Oggi sono disponibili diverse opzioni diagnostiche, accanto alle comuni metodiche di valutazione clinica e strumentale della disfagia, come la videofluoroscopia e la endoscopia transnasale della deglutizione, infatti, ne sono presenti di innovative, quali per esempio lo studio elettromiografico/elettrocinesigrafico della deglutizione e l’applicazione di tecniche di neuroimaging come la risonanza magnetica funzionale (fMRI), la magnetoencefalografia (MEG), e la tomografia a emissione di positroni (PET).
La gestione della disfagia: quali specialisti e quali cure?
Pneumologo, fisiatra, logopedista, nutrizionista: sono alcune delle figure di riferimento in caso di disfagia.
La gestione della disfagia deve essere infatti multidisciplinare. Le principali modalità di trattamento comprendono l’approccio riabilitativo e logopedico, quello nutrizionale, fino all’utilizzo di trattamenti innovativi come quelli basati sull’inoculo di tossina botulinica a livello del muscolo cricofaringeo e dei muscoli submentali/sovraiodei e quelli che riguardano l’applicazione di tecniche di stimolazione diretta della muscolatura orofaringea o di stimolazioni magnetiche ed elettriche transcraniche non invasive.
Cosa serve sapere in caso di disfagia?
In generale, l’équipe del personale sanitario, così come i care giver e i pazienti, dovrebbero essere formati sulle tecniche di alimentazione, con particolare attenzione a:
- modificazioni posturali e dietetiche
- scelta degli alimenti
- gestione del comportamento e dei fattori ambientali
- esecuzione dell’igiene orale (va eseguita con regolarità, anche nei pazienti nutriti con sondino nasogastrico, per evitare la proliferazione nel cavo di organismi patogeni, per prevenire disturbi locali e per ridurre il rischio di polmoniti)
- gestione della preparazione del cibo.
Per i disfasici, un follow up a lungo termine
Il follow up dei pazienti con disfagia deve essere accurato e duraturo nel tempo. Queste persone dovrebbero, infatti, essere rivalutate, regolarmente e con una frequenza relativa alle caratteristiche cliniche della disfagia e allo stato nutrizionale, da un professionista specializzato. In particolare, è bene che venga prestata periodica attenzione a:
- misurazione del peso e dello stato nutrizionale
- caratteristiche della disfagia ed eventuale evoluzione della funzione deglutitoria
- eventuale rivalutazione delle consistenze alimentari e delle limitazioni dietetiche
- eventuali difficoltà di gestione della nutrizione enterale.
Al termine di un bilancio completo della deglutizione, poi, devono essere date indicazioni relative a modificazioni dietetiche e a eventuali tecniche di compenso (posture e manovre). Queste ultime (posture di compenso, tecniche deglutitorie) diventano particolarmente importanti, in alcuni quadri, per ridurre sensibilmente il rischio di aspirazione.
Per approfondire:
Riconoscere e gestire la disfagia
Cos’è la disfagia
La cura della disfagia: dalla diagnosi alla terapia
Difficoltà di deglutizione e disfagia: i consigli pratici
Quando disfagia e deglutizione si complicano