Coronavirus e ipertensione: in questi giorni si è diffusa la notizia che i farmaci anti-ipertensivi facilitino l’infezione da Coronavirus, qual è la reale situazione? Facciamo chiarezza su tale presunto ruolo, attribuito ad ace inibitori e sartani.
La posizione di SIMG e SIIA: i pazienti ipertesi non interrompano la terapia prescritta
Il rapporto tra coronavirus e ipertensione, e in particolare i farmaci necessari per controllarla, è stato ed è oggetto di studio e discussione.
La Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) condivide la posizione, scientificamente rigorosa, espressa dalla Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA): “allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, la suddetta relazione rappresenta solamente un’ipotesi di lavoro e di ricerca, che non deve assolutamente portare il paziente iperteso a sospendere la terapia antiipertensiva. Come tutte le ipotesi, tale presunta relazione dovrà essere sottoposta al vaglio della ricerca clinica, che la SIIA e la SIMG sosterranno con vigore e determinazione in ambito sia nazionale che internazionale attraverso collaborazioni con i Centri di Ricerca Scientifica, con l’obiettivo di raccogliere dati scientificamente attendibili nel più breve tempo possibile. La SIIA e SIMG raccomandano comunque ai pazienti ipertesi di non modificare la terapia antipertensiva che si è dimostrata nel corso del tempo in grado di proteggere i pazienti dal rischio di gravi complicanze cardiovascolari, quali l’infarto miocardico, lo scompenso cardiaco, la morte improvvisa, l’ictus cerebrale e l’insufficienza renale”.
“Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, la relazione tra l’assunzione di queste classi di farmaci e l’infezione da Covid 19 è ad oggi solo un’ipotesi da verificare attraverso specifici progetti di ricerca” precisa il Professor Claudio Cricelli, Presidente SIMG. “Non esistono elementi tali da giustificare la modificazione di terapie che comprendano l’utilizzo di tali farmaci”.
La SIMG sottolinea altresì l’estrema importanza di un ottimale controllo della pressione arteriosa. Questo va ottenuto attraverso una osservanza rigorosa della terapia e delle procedure di monitoraggio dell’ipertensione.
L’ipertensione: un problema comune, con strategie terapeutiche consolidate
La prevalenza dell’ipertensione arteriosa è pari al 30,3% della popolazione: ne sono affetti quasi 19 milioni di italiani. Questa patologia rappresenta un fattore di rischio primario, da sola o in comorbilità con altre patologie acute e croniche, di malattia e di mortalità cardiovascolare.
I farmaci Ace-inibitori costituiscono il 36,7% delle prescrizioni, mentre i sartani il 32,5%. In termini numerici, un terzo dei pazienti trattati assume un farmaco Ace Inibitore.
Il controllo dell’ipertensione è protettivo verso la mortalità da Covid-19
Le notizie di cui abbiamo parlato, basate su ipotesi non suffragate da evidenze, potrebbero mettere a rischio l’aderenza terapeutica e la continuità del trattamento dell’ipertensione arteriosa. Questo potrebbe mettere a rischio la salute del paziente, sia nei confronti delle conseguenze della loro situazione clinica sia in caso di infezione da Coronavirus.
“Riteniamo il buon controllo clinico di queste patologie rappresenti un fattore protettivo in più nei riguardi della mortalità da Covid-19, prevalente nella popolazione di soggetti anziani e portatori di più patologie croniche” aggiunge il Professor Cricelli. “Gli ace inibitori e i sartani sono infatti utilizzati nella terapia dell’ipertensione arteriosa, dello scompenso cardiaco, della cardiopatia ischemica dopo sindrome coronarica acuta, con solidi dati di efficacia con riferimento alla riduzione di incidenza della mortalità e della insorgenza di nuovi eventi cardiovascolari. Sono contenuti in prodotti equivalenti e quindi on impatto assai modesto sulla spesa farmaceutica. La rimozione di questi farmaci rappresenterebbe dunque un pericolo sia in termini di aumento del rischio cardiovascolare che nell’ottica di una infezione intercorrente da Covid-19”.
Covid-19 e gli anziani
I dati italiani evidenziano che i decessi da malattia COVID 19 riguardano quasi esclusivamente soggetti anziani portatori di patologie croniche e comorbilità. “Contrarre l’infezione è particolarmente pericoloso e talvolta letale in età avanzata” sottolinea il professor Claudio Cricelli. “Vi sono pertanto alcuni aspetti di particolare rilevanza che possono spostare in senso favorevole la prognosi di un’infezione da COVID 19 e ridurre quindi il rischio di mortalità. Questi elementi sono anzitutto il raggiungimento e il mantenimento dei target terapeutici; in secondo luogo, l’aderenza e la continuità terapeutica; l’individuazione poi di eventuali danni d’organo e conseguenti modifiche di trattamento; il monitoraggio dei pazienti al fine di garantire la migliore stabilità clinica possibile; infine, il controllo metabolico, dell’equilibrio elettrolitico, della funzione renale, della saturazione di ossigeno e di tutti i parametri clinici”.
Gli anziani affetti da comorbidità non devono limitarsi ad evitare contatti e a trattenersi di più in casa, ma devono essere consapevoli che la scrupolosa osservanza della terapia cronica assegnata ed il monitoraggio dei parametri clinici, di laboratorio e strumentali automisurabili o rilevati direttamente dal medico fa parte di una larga strategia di prevenzione individuale.
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